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George William Trice, un organaro inglese a Genova

Nel corso dei 25 anni di esistenza di questo sito, abbiamo già parlato più volte (e citato) la figura di William George Trice, che per l'organaria italiana fu decisivo innovatore in un periodo (fine Ottocento) nel quale le novità tecnico-foniche provenienti dall'estero cercavano di "introdursi" nella nostra penisola, suscitando una forte contrapposizione tra chi propugnava un radicale rinnovamento dell'arte organaria italiana (i cosidetti "riformisti") e chi vedeva (con una buona parte di ragione) questa ricerca di novità come una minaccia per l'arte organaria italiana "classica".
Bisogna a questo proposito sottolineare come la storia dell'organo italiano non abbia mai avuto un'evoluzione "pura" in senso "nazionale" ma, come tutte le vicende del Mondo, abbia risentito di influenze diverse che ne hanno modificato nel tempo le caratteristiche. In effetti, per citare solo due casi, le influenze "estere" dell'olandese Willem Hermans (che operò nella nostra penisola dal 1648 al 1683) e degli organari francesi riparati in Italia presso i Serassi nei primi decenni dell'Ottocento (che introdussero nell'estetica fonica della casa organaria di Bergamo molte sonorità squisitamente francesi classiche) avevano già in precedenza "modificato" (ed evoluto) molti dei canoni dell'organaria "classica" italiana. La figura di William George Trice, per la verità, fu solo una delle ultime "interferenze" straniere in un campo artistico e musicale che proprio in quei decenni stava trascorrendo un periodo di difficoltà ed era alla ricerca di una nuova "identità" tra le innumerevoli spinte che provenivano sia dall'esterno che dal suo interno.

William George Trice capitò per caso in un panorama organario in grande fermento e, bisogna dirlo, lo fece quasi "suo malgrado". In effetti, se qui in Italia egli è considerato uno dei più importanti "organari innovatori", in Inghilterra (dove era nato, da dove proveniva e dove morì dopo esservi ritornato) egli è ricordato, anche dai suoi discendenti, per essere stato un "commerciante" di carbone operante in Genova per conto di una società inglese di import-export. Questo perché in Inghilterra quelle che per noi Italiani allora erano novità organarie assolute, semplicemente là erano già tecnologie di "routine". In effetti, se non fosse stato per Pier Costantino Remondini, egli sarebbe rimasto sempre, anche per noi, uno dei tanti anonimi ship broker operanti nella succursale italiana della ditta "Walton & Trice", con sede in Genova, Piazza Senarega 1.

Maurizio Tarrini, nel 1993, ha pubblicato, edito da Editrice Liguria di Savona, un corposo libro dal titolo "La fabbrica d'organi di William George Trice a Genova (1881-1897)", in cui la figura e l'attività di Trice vengono trattate fin nei minimi particolari. Noi, per questo articolo, attingeremo molte notizie da quel testo, che riteniamo fondamentale e che consigliamo caldamente di leggere a tutti i nostri amici appassionati di organo ed arte organaria.

 George William Trice

William George Trice, nato nel 1848 a Cardiff in Galles da genitori inglesi, fu educato presso la scuola diretta dal padre e da quest'ultimo, che era anche organista, apprese i fondamentali dell'arte organistica, che espletò poi, durante tutta la sua vita, come ottimo dilettante.
Il suo primo incontro con l'arte organaria avvenne nel 1857, quando l'organaro William Sweetland di Bath installò un nuovo organo presso la chiesa dove era organista il padre del giovanissimo Trice, che non aveva ancora dieci anni. Il ragazzino rimase affascinato dal lavoro degli organari e dopo qualche anno si trasferì, ancora adolescente, a Bath dove iniziò a lavorare, come apprendista, per Sweetland, dimostrando una spiccata attitudine all'arte organaria, soprattutto nell'ambito della tecnica.
Ben presto il giovane Trice divenne un ottimo organaro e, spinto dalla curiosità, effettuò anche diversi viaggi di "approfondimento", tra cui uno in Francia, dove visitò gli ateliers di Cavaillé-Coll e di Merklin, riportandone ottime impressioni per la meccanica ma rimanendo deluso dalle caratteristiche foniche, che egli riteneva qualitativamente inferiori rispetto a quelle degli organi inglesi di quell'epoca.

Pur avendo di fronte a sè un brillante futuro come organaro, Trice considerò sempre (e questo avverrà anche durante il suo periodo di grande "fama" italiana) questo aspetto della sua vita come un "hobby" (ed è per questo che molti organari italiani -che lo vedevano come una minaccia- lo definivano, sprezzantemente, "il dilettante") ed è sempre per questo motivo che egli, ben conscio del fatto che un'attività commerciale "solida" gli avrebbe garantito rendite molto più "sicure" rispetto al costruire organi, decise di dedicarsi al commercio.
Per motivi di salute non ben specificati, poi, gli venne consigliato di trasferirsi "al caldo" ed è così che, tra il 1874 ed il 1878, lo ritroviamo a Genova, dove esercita attività di brokeraggio in carbone ma dove non dimentica di essere anche un organista e, sempre per diletto, lo troviamo spesso a suonare l'harmonium presso la chiesa inglese.

L'avvenimento che diede inizio alla "carriera" organaria di Trice fu l'installazione di un nuovo organo presso questa chiesa. Il nuovo organo, su richiesta di Trice, fu costruito in Inghilterra da Sweetland, i pezzi furono inviati a Genova via bastimento e fu lo stesso Trice a montarlo. Esso aveva due tastiere (Great e Swell), pedaliera retta di 30 note ed undici registri reali su trasmissione meccanica. L'insieme fonico era squisitamente inglese, con registri tipici (Open Diapason, Dulciana) mai ascoltati prima di allora in Italia.
Quest'organo, che oggi sarebbe considerato assai "banale", per quei tempi fu una vera e propria novità e fu inaugurato con un concerto a cui assistette la comunità inglese di Genova ed un nutrito numero di "personalità" tra cui Remondini, che non solo rimase molto colpito dalle caratteristiche dello strumento, ma vide in esso (e nel suo realizzatore) la concretizzazione delle teorie riformiste di cui era da tempo appassionato sostenitore. Fu in quell'occasione che con Remondini si instaurò un rapporto di amicizia e collaborazione che diede il via alla carriera organaria italiana di Trice. Se Remondini, quel giorno, non avesse avuto tempo o possibilità di ascoltare il concerto, Trice avrebbe tranquillamente continuato a fare il commerciante di carbone, a suonare l'organo nella chiesa inglese e ad occuparsi di tecnica organaria solo come passatempo e, probabilmente, l'anno seguente non avrebbe neppure brevettato la sua invenzione più importante: il somiere Trice, cioè un particolare tipo di somiere a canali per registro, che fu l'invenzione che permise, da allora in avanti, l'evoluzione della tecnica organaria mondiale verso quello che tutti oggi definiamo come "organo moderno". Per la cronaca, l'organo Sweetland-Trice della chiesa inglese di Genova fu completamentre distrutto durante i bombardamenti navali alleati (inglesi, per la precisione) della Seconda Guerra Mondiale. Gli Inglesi lo avevano costruito, gli Inglesi lo distrussero.

Dietro suggerimento ed incitamento di Remondini (e di altri "riformisti"), Trice, nel 1881, decise quindi di intraprendere a livello professionale la sua attività amatoriale e fondò la sua prima ditta organaria, W.G.Trice & C., con sede in via Peschiera. L'anno seguente, il 1882, fu quello che vide l'inizio di una brillante attività, assai favorita anche dall'invenzione e dal brevetto del somiere a canali per registro.
La fabbrica di Trice era piccolina e gli strumenti che egli produceva erano di modeste dimensioni e destinati perlopiù a privati o piccole chiese. La sua attività era fortemente "propagandata" da Remondini, che negli anni seguenti lo fece conoscere anche in altre regioni d'Italia. Dal 1882 al 1889, dall'atelier di Trice uscirono una decina di strumenti (di cui ne rimangono oggi esistenti solo tre), tutti di piccole dimensioni ma con caratteristiche per quei tempi assolutamente nuove sia in fatto di tecnica che di fonica.
Nella città di Genova, in quel periodo, Trice realizzò cinque organi, nessuno dei quali è arrivato ai giorni nostri, e tra di essi sono degni di nota quello per l'Istituto dei Ciechi (1883), quello per la Sala Sivori (1883) e quello per gli Ospedali Galliera (1888).
Tutti e tre questi strumenti avevano caratteristiche timbrico-foniche molto simili, con disposizioni foniche sempre basate sui Diapason e con l'assoluta prevalenza delle timbriche inglesi. Tutti presentavano due tastiere (56 o 58 note) e pedaliera retta ("all'inglese") di 30 note ma, mentre per i primi due la trasmissione era meccanica, per il terzo, quello degli Ospedali Galliera, Trice volle sperimentare per la prima volta in Italia quello che in Inghilterra, Francia e Germania era da qualche anno il sistema trasmissivo più "moderno" e rivoluzionario: la trasmissione elettropneumatica.

Le caratteristiche fonico-timbriche degli organi di Trice erano molto chiare e si ispiravano agli ideali organari inglesi di fine Ottocento che fondavano gli insiemi sui Diapason, registri di timbro "principale" molto robusti e potenti, declinati nelle loro varie specificità costruttive (Open Diapason, Stopped Diapason, Wood Diapason, Metal Diapason) sopra ai quali si innestavano altri tipi di registri, specificatamente di carattere coloristico, orchestrale e d'insieme (Gamba, Clarabella, Dulciana, Flauti Armonici, ecc.) ed ancie prevalentemente di tipo solistico (Oboe, Cornopean, Tuba, ecc.). Una caratteristica degli organi britannici di quell'epoca era la quasi totale mancanza di mutazioni, sia semplici che composte. A parte rari casi in cui era presente la Fifteenth (e, talvolta, la Quinta), non vi si trovavano Nazardi, Terze né, tantomeno, i Ripieni (Mixtures) che, quando erano presenti (negli organi di grandi dimensioni), non superavano le 3-4 file ed erano strutturati assai diversamente rispetto al Ripieno Italiano, presentando la classica struttura nordeuropea del blockwerk. Questa spiccata "definizione" timbrica inglese, che caratterizzò soprattutto il periodo di prima produzione della fabbrica Trice, fu accolta (come succede sempre in Italia quando si parla di novità) da reazioni opposte che innescarono polemiche feroci tra i "riformisti" ed i "conservatori".
Trice arrivò in Italia completamente ignaro dell'organaria italiana e delle sue caratteristiche (di mestiere faceva, ricordiamo, il commerciante in carbone) e quando iniziò a costruire i suoi strumenti seguì, ovviamente, i dettami estetici e fonico-timbrici della scuola organaria inglese da cui proveniva. I suoi primi organi, quindi, non potevano essere altrimenti che "inglesi".
I "riformisti", che si battevano per un ritorno del suono dell'organo ad un ideale di "corposità mistica" in contrapposizione all'organo ottocentesco italiano "bandistico" ed "orchestrale", trovarono nelle timbriche calde, robuste ed equilibrate degli organi inglesi (e di Trice) la realizzazione dei loro ideali. I "conservatori" vedevano invece in quegli organi la negazione della tradizione organaria italiana e considerarono Trice un vero e proprio "attentatore" che, secondo loro, avrebbe distrutto l'organo italiano.
Col senno di poi (ma ancora oggi sull'argomento ci sono accese discussioni) entrambi avevano una parte di ragione ed una parte di torto, tanto che quarant'anni dopo ci volle una apposita "Adunanza" tra organisti ed organari per "mettere a posto" le cose e stabilire i parametri per la corretta definizione dell'organo italiano moderno.

Dei tre organi Trice genovesi che abbiamo citato sopra, prima di parlare di quello del Galliera, riteniamo di fare un cenno a quello della "Sala Sivori", non tanto per le sue caratteristiche foniche che, abbiamo visto, non erano molto differenti da quelle degli altri, quanto per il luogo in cui fu installato.
La "Sala Sivori" (ancora oggi esistente in Genova, Salita Santa Caterina 54 rosso) fu realizzata nel 1869 come sala concerti ed intitolata all'allora ancora vivente violinista genovese Ernesto Camillo Sivori, che fu l'ultimo allievo di Paganini ed uno dei violinisti più "virtuosi" della sua epoca (i violini di Paganini e Sivori sono tuttora conservati a Genova presso Palazzo Tursi). La sala fu inaugurata nel dicembre dello stesso anno con un concerto in cui si esibì lo stesso Sivori con cantanti, pianisti ed orchestra.
Negli anni seguenti la sala fu il centro dell'attività musicale genovese (in cui si distinsero le "Tornate Musicali" organizzate da Remondini) ma divenne importante per due avvenimenti "storici" (e non musicali) che vi ebbero luogo. Il primo avvenimento -politico- fu, nel 1892, il Congresso del Partito Operaio Italiano e fu qui che avvenne la scissione che diede poi origine al Partito Socialista Italiano.
Il secondo avvenimento -cinematografico- fu nel 1896 quando, il 30 Maggio, nella Sala Sivori venne proiettata, per la prima volta in Italia, una pellicola cinematografica. Si trattava de "L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat" dei Fratelli Lumière. Per questo avvenimento, la Sala Sivori di Genova si può vantare di essere stata la prima sala cinematografica italiana.
L'organo che Trice installò nalla Sala Sivori nel 1883 era stato realizzato in origine per un privato ma fu poi "dirottato" nella Sala dal musicista Giuseppe Bossola, che era stato l'ideatore ed il realizzatore della sala. L'organo fu sistemato in quinta di fondo sul palcoscenico e fu utilizzato la prima volta nel Maggio 1884. Per circa un anno su questo strumento si esibirono diversi organisti (anche stranieri) che proposero, forse per la prima volta in Italia, musiche di Bach e di autori classici e contemporanei francesi e tedeschi. L'anno seguente, l'organo fu rimosso in previsione delle sua sostituzione con uno strumento più grande, anch'esso costruito da Trice ma che, purtroppo, non arrivò mai.

Dell'organo della cappella degli Ospedali Galliera intendiamo sottolineare il fatto che questo strumento fu una novità assoluta a livello nazionale non tanto per la sua disposizione fonica, che era molto simile a quelle degli altri organi di Trice di quel periodo, quanto per la concomitanza di soluzioni tecniche assolutamente innovative applicate contemporaneamente in un solo strumento poiché in questo organo egli applicò contemporaneamente -e per la prima volta in Italia- il suo somiere a canali per registro, i mantici "Cummings" a pieghe contrapposte e la trasmissione elettropneumatica, dando origine ad un organo-prototipo che aprì la strada verso i futuri orizzonti dell'organaria nostrana.

Di queste tre "innovazioni", sicuramente quella più "rivoluzionaria" e di difficile realizzazione fu la trasmissione elettropneumatica, che Trice aveva già studiato ed approfondito fino al punto di progettarne una sua propria. Ma per la realizzazione di questo suo progetto egli aveva bisogno di un "elettricista", cioè di una persona che potesse realizzare "industrialmente" quello che lui aveva progettato sperimentalmente.
Per "ottimizzare" il progetto e renderlo quindi attuabile in modo soddisfacente, Trice si avvalse della collaborazione dell'Ing. Conti di Genova, il quale non solo si occupò della realizzazione dell'impianto elettrico con la fornitura e messa in opera di tutto il materiale necessario (pile, magneti, cavi, ecc.) ma, anche, risolse brillantemente alcune problematiche che si presentarono in fase di realizzazione dell'organo. La collaborazione con Conti si rivelerà poi di fondamentale importanza quando Trice realizzerà, nel 1890, il grande organo "elettrico" per la Basilica dell'Immacolata di Genova.

Parlare oggi di trasmissione elettropneumatica è un gioco da ragazzi, poiché si tratta di archeologia industriale organaria ma, per quell'epoca, si trattava di una frontiera ancora ben poco esplorata della tecnologia e le difficoltà erano innumerevoli, prima fra tutte la produzione dell'energia elettrica in corrente continua a basso voltaggio necessaria per l'azionamento dei magneti. A quell'epoca per la produzione di tale corrente si usavano (soprattutto per il funzionamento del telegrafo) le "pile elettriche" che erano assai differenti dalle normali pile che utilizziamo oggi e che consistevano, praticamente, in contenitori di vetro contenenti una soluzione chimica liquida entro cui erano immersi un catodo (in grafite) ed un anodo (in zinco) ed in cui la corrente elettrica si formava per reazione chimica di ossidazione e riduzione dei due elementi.

 Pile elettriche 1890

Trice, per l'organo del Galliera e per volontà precisa della stessa Duchessa di Galliera, aveva previsto di utilizzare i migliori materiali disponibili a quell'epoca (1888) ed anche per le pile egli scelse le migliori disponibili sul mercato (e, ovviamente, le più costose). L'organo fu quindi dotato delle "Pile Leclanché", ideate e realizzate dal francese George Leclanché nel 1866 e che erano le prime pile elettriche "a secco" della storia (in queste pile la soluzione liquida veniva sostituita da una pasta o gelatina). Queste pile erogavano una corrente continua di 1,48 Volts ciascuna e Trice, per far funzionare l'organo del Galliera, ne utilizzò otto collegate in serie per ottenere i 12 Volts necessari all'azionamento dei magneti. Per la cronaca, le normali pile elettriche che utilizziamo oggi, ad esempio per il telecomando della TV, sono la versione aggiornata, miniaturizzata ed ottimizzata delle Pile a secco Leclanché e, oggi come allora, forniscono sempre 1,5 Volts.

Come abbiamo visto, il primo periodo di attività organaria di Trice a Genova si svolse su livelli tecnico-fonici che ricalcavano molto da vicino (talora pedissequamente) i canoni della contemporanea organaria britannica, e di essa ne portava con sè molti aspetti anche organizzativi.
Sicuramente per i primi strumenti realizzati in questo periodo (1882-1889) Trice si limitò, fondamentalmente, ad esserne l'installatore poiché, come aveva fatto per l'organo della chiesa inglese, egli ne faceva arrivare le varie parti via mare dall'Inghilterra (probabilmente da Sweetland) e poi li assemblava nel suo atelier, dove li teneva montati -e funzionanti- allo scopo di renderli disponibili per le prove e la "visione" preventiva da parte dei potenziali acquirenti.
Questo "metodo" di promozione ("Vieni a vedere l'organo, lo provi e se ti piace lo prendi") era fino ad allora sconosciuto in Italia e fu una novità assoluta, che derivava dalla mentalità tipicamente "imprenditoriale" britannica (esportata in precedenza anche negli Stati Uniti d'America), che prevedeva, dalla grande industria fino al più piccolo laboratorio artigiano, un rapporto con il "cliente" basato non solo sulla "fiducia" ma, anche e soprattutto, sulla concretezza e sulla possibilità per gli acquirenti di fare il cosidetto "benchmarking", cioè l'analisi comparativa della merce, delle sue caratteristiche costruttive, della perizia realizzativa e della bontà dei materiali utilizzati.
Sulla base di queste "regole", in quel periodo Trice fece quindi "evolvere" la sua fabbrica d'organi che, partita con lui ed un paio di aiutanti (reclutati a Genova), in pochi anni raggiunse dimensioni abbastanza importanti anche grazie all'arrivo dall'Inghilterra (forse consigliati da Sweetland) di un paio di collaboratori che si rivelarono molto preziosi: J. (John, James, Jack?) Davison e Percy Bright che, come da prassi imprenditoriale britannica, entrarono nella fabbrica Trice con il compito di occuparsi "esclusivamente" di ben precisi e determinati compiti. Il primo era il "cannifonista", cioè colui che costruiva tutte le canne dell'organo e le intonava (e tutte le sue canne erano marchiate con l'incisione del suo nome), il secondo era l'accordatore, cioè si occupava di "accordare" gli strumenti una volta ultimati. Per la cronaca, non risulta che Bright abbia proseguito attività in Italia dopo la chiusura della ditta nel 1897 mentre per Davison si è ipotizzato che già dal 1895 avesse intrapreso anche un'attività di cannifonista "in proprio" (fornendo anche altri organari, come Zeno Fedeli di Foligno) per poi passare definitivamente, nel 1897, alle dipendenze di Carlo Vegezzi Bossi a Torino. Ipotesi tutte da verificare.
Sullo stesso principio, anche le altre maestranze impiegate nella fabbrica si occupavano solo ed esclusivamente di svolgere mansioni ben precise: falegnami per le parti lignee, fabbri per le parti metalliche, apprendisti ed assistenti per mansioni diverse. In questo panorama, perfettamente organizzato, Trice, più che organaro, poteva essere definito come Direttore Generale e, sotto il profilo giuridico, come un attuale C.E.O. (Amministratore Delegato) poiché la costituzione della ditta era stata resa possibile con il fondamentale sostegno finanziario (80% del capitale) di una Banca Inglese, la Granet Brown & C., banca che in seguito (1891) farà realizzare a Quarto dei Mille (ma allora si chiamava Quarto al Mare) il nuovo stabilimento, con annesso grande salone espositivo, che la fabbrica occuperà fino al 1897.
E' da notare che presso la fabbrica di Trice, in quegli anni, lavorarono anche diversi elementi di ottimo valore, alcuni dei quali diventeranno in seguito validissimi organari come, ad esempio, Domenico Farinati (dal 1883 al 1895) e Pietro Anelli, che entrò in ditta nel 1887 e ne seguì le sorti, divenendone anche socio, fino al 1897, quando ne fu il liquidatore nella vendita fallimentare a Carlo Vegezzi Bossi di Torino.
William George Trice fu anche, cosa allora inaudita in Italia, il primo organaro che forniva i suoi strumenti con un periodo di garanzia, garanzia che, per i suoi strumenti a trasmissione elettropneumatica (a partire da quello degli Ospedali Galliera), diventava "condizionata", nel senso che egli si impegnava -per un periodo concordato con l'acquirente- ad effettuare gratuitamente tutti gli interventi di riparazione derivanti da difetti di fabbricazione a condizione che nessun'altra persona (committenti, organisti, altri organari, ecc.) tranne egli stesso o le sue maestranze specializzate "mettessero le mani", anche solo aprendone gli sportelli, sui suoi organi. Questa condizione, oltre che da una precisa strategia industriale, derivava anche dal fatto che il sistema elettropneumatico da lui utilizzato era una sua invenzione e, ovviamente, solamente lui (o l'Ing. Conti, il suo "elettricista") era in grado di ripararla. In un panorama internazionale che stava radicalmente cambiando le regole commerciali mondiali, Trice fu anche uno dei primi organari "italiani" che chiese (ed ottenne) il brevetto di alcune sue "invenzioni", tra cui il "Somiere Trice" ed il suo sistema di trasmissione elettropneumatica (in due versioni successive).

Nel primo periodo italiano della sua attività (intanto, nel 1888, la fabbrica si era ingrandita e trasferita in Salita S.Rocchino) Trice, che si era reso conto della "complessità" della situazione organaria italiana ed era stato assai sorpreso dalle polemiche suscitate dai suoi primi strumenti, spese molto del suo tempo per "conoscere" meglio l'arte italiana di costruire organi e per riuscire a capirne alcune particolarità timbriche (ad esempio il Ripieno) a lui fino ad allora perfettamente ignote. Per fare questo si impegnò in alcuni "educational trips" che lo portarono in diverse città italiane dove potè visitare molti organi e strumenti di ottimo pregio da cui trasse alcune preziose indicazioni che lo indussero a "temperare" i suoi principi organari squisitamente britannici per aprire la sua produzione ad un'estetica meno "austera".
Ciò lo indusse a dotare i suoi nuovi organi di ripieni più "brillanti" (o ad inserire qualche fila di ripieno acuta in più) e a prevedere, oltre ai Diapason Inglesi, anche i Principali di tipo italiano. Questi "accorgimenti", inseriti per rendere più "accettabili" i suoi strumenti in un panorama organario alquanto effervescente, non gli impedirono però mai di rinunciare ai fondamentali dell'organaria inglese, che rimarranno sempre ben saldi in tutte le sue realizzazioni successive.

Dall'anno 1890 al 1897, anno di chiusura della fabbrica, Trice progettò una trentina di nuovi organi, di cui 21 effettivamente realizzati (8 di questi non più esistenti e molti poi modificati nei decenni seguenti). Dodici organi furono realizzati con la trasmissione elettropneumatica di sua invenzione, due furono dotati di trasmissione pneumatica, i rimanenti altri con trasmissione meccanica. La maggior parte di questi organi aveva una o due tastiere (56, 58 o 61 note) e la solita pedaliera retta "inglese" di 30 note. Gli unici strumenti che presentarono un numero maggiore di tastiere furono quello della Basilica dell'Immacolata di Genova (elettropneumatico a tre tastiere), il rifacimento-ampliamento di un antico Callido a Verona (tre tastiere), l'organo per la Basilica di S.Ambrogio a Milano (tre tastiere, non più esistente) e l'organo realizzato per l'Esposizione Italo-Americana di Genova del 1892 (quattro tastiere, anch'esso elettropneumatico e non più esistente).
Bisogna anche sottolineare come molti dei suoi organi in origine commissionati da chiese o da privati siano poi stati "dirottati" verso altre destinazioni. A questo proposito abbiamo già parlato dell'organo della Sala Sivori di Genova, a cui si aggiungono almeno tre organi commissionati dal Conservatorio di Napoli dietro suggerimento di Marco Enrico Bossi.
Di questi tre, solamente uno (con due tastiere, non più esistente) andò davvero a Napoli mentre, degli altri due, uno con tre tastiere venne dirottato alla Basilica di S.Ambrogio di Milano (lo abbiamo citato poco fa) e l'altro, il più grande a quattro tastiere, fu dapprima esibito all'Esposizione Italo-Americana di Genova e, al termine di essa, se ne perdettero definitivamente le tracce. C'è da sottolineare, a proposito di questo strumento (a trasmissione elettropneumatica), che per quell'occasione Trice rispolverò alla grande tutte le sue conoscenze dell'organaria inglese e l'organo, a partire dai nomi dei registri in Inglese, era un vero e proprio organo "britannico" (o "americano", che a quell'epoca era la stessa cosa) e ne rispecchiava tutte le caratteristiche, compresa la "povertà" di Mixtures (un solo Ripieno, di sole 4 file al Great). Confrontando la disposizione fonica di questo strumento con quella dell'organo, anch'esso elettropneumatico, realizzato da Trice per la Basilica dell'Immacolata due anni prima, risulta evidente come egli "modulasse" le disposizioni foniche dei suoi organi in base al "target" a cui erano destinati. L'organo dell'Immacolata, in effetti destinato ad una chiesa italiana, di Ripieni ne aveva ben tre di cui uno (diviso in Duodecima, Decimaquinta, Pieno Grave 5 file e Pieno Acuto 3 file per un totale di ben 10 file) al Grande Organo, uno di 3 file all'Organo Corale ed uno di 4 file all'Organo Espressivo.
+ Ricordiamo che l'organo dell'Esposizione Italo-Americana, per tutta la durata della manifestazione e nella più classica tradizione "americana", ogni giorno veniva utilizzato da grandi organisti inglesi e statunitensi (ma anche italiani, tra cui Marco Enrico Bossi) per l'esecuzione di concerti a cui il pubblico aveva libero ingresso. Tra questi organisti fu molto apprezzato Edwin Henry Lemare, il grande organista e trascrittore anglo-statunitense.

Nel 1890, dunque, con la realizzazione del grande organo "elettrico" della Basilica dell'Immacolata di Genova, Trice raggiunse la massima notorietà italiana, ma non quella Europea né statunitense poichè gli strumenti che in quel periodo si realizzavano in Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti utilizzavano già da molti anni tutte le novità tecniche (compreso il suo somiere e la trasmissione elettropneumatica) che per l'Italia, invece, erano state fino ad allora sconosciute.

La Basilica dell'Immacolata fu realizzata tra il 1856 ed il 1873 e faceva parte di un piano urbanistico ideato dall'Architetto Carlo Barabino che prevedeva la realizzazione di una larga e lunga strada rettilinea (in salita) ai cui lati si sarebbero dovuti costruire (ed infatti si costruirono) i palazzi delle famiglie più "facoltose" ed importanti della città. Nella lottizzazione, uno degli appezzamenti di terreno fu espressamente dedicato alla costruzione di una chiesa e, in seguito, nella stessa via furono edificati anche il Tempio Israelitico e la Chiesa Valdese. Ai finanziamenti per la realizzazione della chiesa contribuirono, in modo massiccio, le famiglie che avrebbero edificato i loro palazzi nella stessa via e così fu anche per la costruzione dell'organo di Trice, che venne a costare una cifra per quell'epoca "spropositata".
Riguardo ai costi degli strumenti di William Trice, si possono fare alcune comparazioni con il controvalore in Euro di oggi. Secondo annotazioni di Pietro Anelli, nel 1890 un organo che usciva dall'atelier di Trice costava 2000 Lire (circa 8500 Euro di oggi) a registro mentre gli strumenti realizzati nello stesso periodo dagli organari italiani ne costavano 600 (circa 2500 Euro). L'organo dell'Immacolata aveva in totale 60 registri e, pertanto, il suo costo era di 510mila Euro attuali (che corrispondono, al cambio fissato nel 2000, a quasi un Miliardo di vecchie Lire).
L'organo dell'Immacolata fu, come abbiamo detto, finanziato dalle famiglie "ricche" genovesi dell'epoca e Trice non ebbe problemi di reperimento dei fondi, ma per gli altri suoi strumenti, anche quelli più piccoli, i problemi si presentarono eccòme, poichè non tutte le chiese disponevano delle somme necessarie per acquistare un suo organo. Da lì a dire che gli organi di Trice erano destinati ai "ricchi" il passo fu molto breve e quasi sicuramente questa sua caratteristica di organaro "esoso" contribuì, assieme ad altri fattori, a fare in modo che, proprio a partire dal 1890, l'attività di William George Trice iniziasse a subire i primi colpi. Bisogna però dire, a questo proposito, che i motivi degli alti costi degli organi di Trice derivavano dall'accuratezza della costruzione, che veniva curata fin nei minimi dettagli, dalla qualità eccellente dei materiali, dalla sofisticatezza delle soluzioni tecniche e dalla robustezza e compattezza degli strumenti, tutte caratteristiche che a quell'epoca erano nettamente superiori a quelle degli altri organari italiani. Facendo un paragone odierno nel campo dell'informatica, si potrebbe dire che gli organi di Trice erano un po' come i computers della Apple rispetto a quelli delle altre marche. Sta comunque di fatto che, nonostante alla fabbrica genovese di Trice arrivassero richieste da tutta Italia (ed anche da diverse parti del Mondo, tra cui Asia e Stati Uniti), fu proprio a partire dal 1890 che iniziarono a verificarsi i primi sintomi di un declino che nel giro di soli sette anni porterà la ditta al fallimento.

Si può, a questo proposito, dire che lo strumento dell'Esposizione Italo-Americana del 1892 fu una delle ultime creazioni "importanti" di Trice il quale, già l'anno seguente, decise di "scaricare" parzialmente la sua figura dalla società, facendo subentrare Pietro Anelli nella direzione e nella gestione della fabbrica e variando la ragione sociale in "Trice, Anelli &: C.". Negli anni successivi alcuni problemi furono posti anche dalla banca Granet Brown & C. (che, ricordiamo, deteneva l'ottanta per cento del capitale sociale della ditta) poiché l'attività della fabbrica non aveva raggiunto i "targets" previsti.
Bisogna dire, a questo proposito, che la banca, a seguito del grande successo degli organi dell'Immacolata e dell'Esposizione Italo-Americana, si attendeva che un grande numero di chiese, soprattutto quelle più grandi ed importanti d'Italia, desiderasse dotarsi di uno strumento "nuovo" costruito da Trice, ma questo non avvenne per diversi motivi e, col senno di poi, possiamo oggi dire che è stato meglio così, altrimenti molti strumenti storici italiani ancora oggi esistenti -forse- sarebbero andati dispersi e/o distrutti.
A parte il costo elevato, che non tutti potevano permettersi, uno dei motivi che frenarono l'espansione degli organi di Trice in Italia fu, appunto, l'ostilità che l'ambiente "conservatore" continuava ad esprimere nei confronti di quell'organaro "dilettante" che aveva osato mettere in pericolo la tradizione organaria classica italiana, ostilità che permeava la maggior parte degli addetti ai lavori (sacerdoti, organisti, organari) e che faceva loro rifiutare quegli strumenti così lontani dagli ideali timbrico-fonici a cui erano abituati da oltre un secolo.
A completare il "disastro" fu poi, nello stesso anno 1893, la morte di Remondini. Con la scomparsa del suo "mèntore", a Trice venne a mancare uno dei motori fondamentali per la pubblicizzazione e la promozione della sua fabbrica. Remondini, in effetti, fino ad allora era stato il personaggio che, attraverso la sua fitta rete di contatti e di conoscenze, aveva presentato e fatto conoscere l'attività di Trice in varie parti d'Italia (e molti dei suoi strumenti furono "piazzati" proprio grazie a Remondini). Scomparso Remondini, Trice non ebbe più al suo fianco una delle personalità più importanti ed influenti nel campo dell'organaria europea e fu così che, a partire dal 1894, egli si distaccò sempre di più dalla gestione diretta della fabbrica (che veniva portata avanti da Anelli) per riprendere, seppur saltuariamente, la sua attività di brokeraggio in carbone. D'altra parte, lo abbiamo sottolineato in apertura, Trice aveva sempre considerato l'arte di costruire organi come una specie di "hobby" e, visto che questo "passatempo" non gli forniva più le soddisfazioni desiderate, decise di abbandonarlo per ritornare alla sua antica attività commerciale.

Fu così che nel 1897, dopo che Trice aveva ormai "tirato i remi in barca" e la banca aveva ritirato la quota societaria da una ditta che non aveva ottenuto i risultati previsti, la società venne dichiarata fallita e messa in vendita. Curatore fallimentare fu, ovviamente, Pietro Anelli, che si trovò a "passare" la ditta e tutti i suoi beni, tra cui tutte le attrezzature ed anche diversi organi già realizzati, a Carlo Vegezzi Bossi, un giovane organaro torinese, "rampante" ed assai intraprendente, che il 21, 22 e 23 Aprile di sette anni prima si era seduto su di una panca della Basilica dell'Immacolata di Genova per ascoltare i suoni di un organo mai visto prima in Italia, le cui sonorità e soluzioni tecniche d'avanguardia lo avevano letteralmente affascinato e che aveva deciso di applicare nei suoi strumenti con una sostanziale differenza: mantenere il più possibile intatte le sonorità di base dell'organo italiano classico. L'italiano Bossi, nei decenni seguenti, riuscirà infatti a realizzare quello che l'inglese Trice non era riuscito ad ottenere, cioè un giusto (per quei tempi) equilibrio tra novità tecniche di provenienza estera e rassicuranti sonorità sostanzialmente "italiane", aprendo per davvero la strada verso l'organo "moderno" italiano. Ma questo è un altro discorso.

Dopo la cessione della ditta, Pietro Anelli abbandonò l'organaria per dedicarsi alla costruzione di pianoforti. Delle sorti di Davison e Bright abbiamo già detto. Gli altri collaboratori genovesi di Trice si dedicarono ad altre attività, quasi sempre nell'ambito degli strumenti musicali. Qualcuno si dedicò alla manutenzione degli organi elettropneumatici di Trice affiancandovi modesti lavori di organaria spicciola; altri si dedicarono al commercio di pianoforti, strumenti meccanici a rullo (pianole) ed harmoniums. Nel giro di qualche anno, dell'organaro William George Trice in Italia si perse la memoria. Negli altri Paesi Europei nessuno, come abbiamo già sottolineato, lo aveva mai considerato più di tanto.
In effetti, la "fama" che egli conobbe qui da noi fu determinata dal fatto che, organariamente parlando, rispetto al resto d'Europa, l'Italia, pervicacemente ancorata ad un'estetica organaria ormai "vecchia" di oltre un secolo, non aveva ancora recepito (o, meglio, non aveva voluto recepire) le novità soprattutto tecnologiche che già da decenni erano utilizzate altrove e Trice, che in qualsiasi altro stato europeo (o negli Stati Uniti d'America) sarebbe stato uno dei tanti "normali" organari di medio livello, nel nostro Paese divenne il simbolo di una modernità organaria che altrove era già acquisita da tempo.

 Grafico Organi Trice

Qui sopra presentiamo, a titolo esplicativo, un grafico che raffigura il numero di organi progettati da Trice (compresi anche quelli che non furono mai realizzati) durante la sua attività genovese suddivisi per anno dal 1881 al 1897 (l'ultima colonna, in colore azzurro, rappresenta gli strumenti -quattro organi- non datati/databili).
Da questo grafico risulta evidente come, dopo un primo periodo (dal 1881 al 1889) abbastanza "statico", a partire dal 1890 (anno di realizzazione dell'organo della Basilica dell'Immacolata di Genova) l'attività della fabbrica abbia avuto un notevole balzo in avanti ma, dopo il 1892, anno della costruzione dell'organo per l'Esposizione Italo-Americana, sia ritornata rapidamente ai livelli precedenti per poi collassare definitivamente negli ultimi anni.
Trice, chiusa la fabbrica, rimase a Genova dove, con ogni probabilità, riprese la sua precedente (più redditizia e sicura) attività di import-export fino al 1912, anno in cui si ritirò dagli affari e ritornò in Inghilterra per trascorrervi, da tranquillo pensionato, gli ultimi anni della sua vita, che si concluse nel 1920 senza che nessuno, neppure i suoi parenti più stretti (tranne la moglie), venisse mai a sapere della sua "avventura" organaria italiana.

William George Trice fu, nella sua epoca, uno dei tanti esponenti di una società commercialmente "pre-globalizzata", che aveva appena iniziato a "rincorrere" un progresso tecnologico che stava aprendo strade del tutto nuove, e fino ad allora ritenute impossibili, in ogni campo della scienza e della tecnologia. Nella sua attività di commerciante fu molto bravo ed abile; come organaro denotò invece una professionalità che, unita alla sua intraprendenza, ad intuizioni quasi geniali (il somiere Trice del 1882, la sua trasmissione elettropneumatica "perfezionata" del 1887) e ad una pianificazione imprenditoriale dell'attività, gli consentirono di raggiungere livelli molto alti di qualità e di realizzazione. Nell'Italia di quel periodo, fresca di Unità nazionale ma ancora tecnologicamente ed industrialmente arretrata rispetto al resto del Mondo, forse questi suoi metodi "moderni" di imprenditoria non furono ben compresi, così come l'impatto "improvviso" delle nuove tecnologie organarie in un panorama alquanto cristallizzato ottenne più ostilità aprioristica che interesse e comprensione. In ogni caso, una buona parte della sua fortuna italiana derivò certamente dal fatto di essersi trovato a Genova, una città da millenni "aperta" a commerci con il Mondo intero, novità, scambi (commerciali e culturali) e da sempre ben disposta ad accogliere (e concretizzare) le istanze di progresso e di modernità che da essa si sarebbero poi espanse a tutta la nostra penisola. Non per nulla Genova, una ventina d'anni dopo, ospiterà un'altra "prima organaria assoluta", cioè la costruzione del primo organo italiano a trasmissione integralmente elettrica (Tamburini 1916 della chiesa di N.S. delle Vigne).
Per concludere, a prescindere da tutto e comunque la si pensi, riteniamo che a William George Trice gli organari, gli organologi e gli organisti italiani debbano ancora oggi tributare un grande ringraziamento.