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Bossi, Vittino e Balbiani: una saga organaria italiana

Il 10 Ottobre (2013) scorso ricorreva il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi.
Come tutti sanno, il Beppino nazionale negli anni della sua fanciullezza, si esercitava all'organo della chiesa di S.Michele Arcangelo di Roncole (ora Roncole Verdi), uno strumento costruito da Francesco Bossi nel 1797 di piccole dimensioni ma di ottima fattura a cui Verdi rimase sempre assai affezionato e del quale egli stesso promosse un primo restauro, effettuato da Tronci (che eseguì il lavoro gratuitamente) nel 1900. Altri lavori di restauro furono poi effettuati nel 1924 da Rotelli e nel 1964 da Tamburini. L'ultimo restauro risale al 2001 ed è stato realizzato da Giani con la supervisione di Oscar Mischiati.
Orbene, il collegamento tra il bicentenario verdiano e la figura di un organaro della famiglia Bossi ci ha proposto lo spunto per trattare in modo più ampio una bella fetta della storia organaria italiana, storia che ha visto intrecciarsi tra di loro tre grandi famiglie organarie italiane in una specie di "saga" nel corso della quale l'organo italiano ha vissuto grandi rivolgimenti e mutazioni di cui queste famiglie sono state assolute protagoniste e che hanno visto in Carlo Vegezzi-Bossi la figura più importante e di maggior spicco. Queste tre famiglie rispondono ai nomi, rispettivamente, di Bossi, Vittino e Balbiani. Ma andiamo con ordine.

Verso la metà del 1500 in Svizzera, a Mendrisio nel Canton Ticino, troviamo le prime notizie di un costruttore di organi, tale Antonio Bossi. Le tracce della sua discendenza si ritrovano nel 1635 a Bergamo (con tutta probabilità la famiglia si era nel frattempo lì trasferita) con Gabriele Bossi, a cui succedono, in diretta discendenza, Giovanni Antonio (1680-1748) e Angelo Bossi (1717-1748). Da quest'ultimo la linea genealogica si divide in due rami; da una parte avremo Francesco Bossi (è lui il costruttore dell'organo di Roncole Verdi) a cui succederanno Giovanni ed Angelo. Dall'altra parte abbiamo Giuseppe Bossi, a cui succederanno Carlo e poi, figli di quest'ultimo, Pellegrino, Girolamo, Adeodato e Felice. Di questi, tutti valentissimi organari, ci interessano in particolar modo Adeodato e Felice.
Il primo (che, dopo aver aggiunto il cognome materno Urbani, diede vita alla ditta Bossi-Urbani) fu, per la sua epoca, un vero innovatore. A lui si devono le invenzioni dell' eolomotore, un sofisticato apparato di manticeria che consentiva per la prima volta di mantenere regolarmente costante la pressione dell'aria e che alleviava di molto lo sforzo dei "tiramantici", e del doppio ventilabro, accorgimento tecnico che consentiva di ridurre la resistenza che la forza dell'aria contenuta nel somiere esercitava sulla trasmissione (e, quindi, sui tasti) rendendo le tastiere molto più "leggere" e riducendone la "durezza". Celebrato da tutti gli organisti di quell'epoca (Mayr e Padre Davide da Bergamo lo definirono come uno dei più grandi organari italiani), Adeodato Bossi-Urbani fu anche il primo (e di questo fatto pochissimi addetti ai lavori ne sono a conoscenza) che, nel 1887 -ad ottant'anni suonati-, utilizzò la corrente elettrica per l'azionamento dell'organo costruito da Serassi nel 1781 per la chiesa di S.Alessandro in Colonna di Bergamo. Deceduto nel 1891, la sua successione venne presa dal nipote Luigi Balicco, il quale si dedicò soprattutto alla manutenzione ed al restauro degli strumenti realizzati da Adeodato; con la sua morte, avvenuta nel 1911, si estinse questo ramo della famiglia e dell'attività.
Felice Bossi, fratello di Adeodato, è lo snodo da cui si diparte il ramo famigliare più famoso e con il quale si intrecciano i destini dell'organo moderno italiano e, con esso, quello delle tre grandi famiglie di cui abbiamo parlato in apertura.
Nato nel 1795, dapprima opera insieme ai fratelli e poi, dopo aver spostato il suo baricentro di attività nel Piemonte (con il padre Carlo nel 1832 aveva realizzato l'organo della Cattedrale di Aosta), nel 1850 si trasferisce a Torino, dove apre una nuova attività (ed una succursale a Vercelli) e dove inizia a costruire organi per le chiese piemontesi.
A questo punto, da Torino ci spostiamo di un'ottantina di chilometri verso Sud, nel Cuneese e, precisamente, a Centallo, dove andiamo a trovare la seconda famiglia oggetto della nostra trattazione: i Vittino.

Nel 1795 (lo stesso anno di nascita di Felice Bossi) nasce Carlo Vittino. Lo troviamo dapprima organista titolare presso la Cattedrale di Cuneo e poi, nel 1824, nelle vesti di organaro. In quell'anno, infatti, egli fonda, insieme al fratello Pietro -anch'egli organista-, una fabbrica di organi a Centallo. Mentre Pietro alterna l'attività organaria con quella musicale, Carlo si dedica totalmente alla fabbricazione di organi, che si espande molto rapidamente in tutto il Piemonte, grazie all'alta qualità delle sue realizzazioni. Nel 1829 Carlo Vittino sposa Silvina Zucchi, figlia di una delle più note famiglie della borghesia centallese, e sposta la sede dell'attività presso la "Villa Zucchi", di proprietà della moglie. In questa villa ha tutt'oggi sede la Casa Organaria Brondino-Vegezzi Bossi.

 Annetta Vittino La produzione di Vittino è veramente ottima. I suoi strumenti vengono considerati tra i migliori di quell'epoca ed egli tramanda l'arte ai suoi tre figli, Vittorio, Francesco ed Annetta. Contrariamente agli usi e costumi dell'epoca, non solo i figli maschi si dedicano all'arte organaria, ma anche Annetta viene totalmente inserita nell'attività e diventa così (non risultano testimoniati altri esempi in quel'epoca) la prima donna-organaro italiana.
L'attività viene quindi ereditata e proseguita dai tre fratelli, che perfezionano ulteriormente la qualità dei loro organi, che sono richiestissimi e che conseguono premi e riconoscimenti anche a carattere nazionale tra i quali, nel 1884, la Medaglia d'Oro per l'organo costruito per l'Esposizione Generale di Torino di quell'anno, grande strumento con due tastiere e settanta registri, in seguito sistemato nella chiesa Parrocchiale di Dogliani, in Provincia di Cuneo.

A Torino, nel frattempo, Felice Bossi prosegue la sua attività realizzando strumenti di grandissimo pregio ed importanza tra i quali quello della chiesa della Madonna degli Angeli e quello della chiesa della Visitazione.
Felice Bossi si sposa con Angela Lorenzi, una ragazza che era rimasta vedova del suo primo marito (che di cognome faceva Vegezzi) da cui aveva avuto un figlio, Giacomo Vegezzi. Felice Bossi, che non avrà altri figli, lo adotta, assegnandogli anche il suo cognome. Quel ragazzo diventa Giacomo Vegezzi Bossi, il capostipite della dinastia degli organari che rivoluzioneranno l'arte organaria italiana.
Anche Giacomo Vegezzi Bossi, sotto la guida del padre adottivo, diventa un abile organaro (tra i suoi organi più rinomati abbiamo quello della Cattedrale di Torino, realizzato nel 1874, e quello -nella stessa città- della chiesa della Gran Madre di Dio, costruito nel 1880).

 Carlo Vegezzi Bossi Giacomo si sposa ed ha un primo figlio, Carlo (comunemente indicato nella genealogia come Carlo I), che nasce nel 1858 e che già fin da giovanissimo si rivela un geniale organaro tanto che all'età di soli ventitre anni realizza l'organo per la Cappella della Santa Sindone nel Duomo di Torino. La sua carriera sarà fantastica e dovuta in particolare modo alla sua curiosità verso le novità che in quel periodo stavano arrivando in Italia dagli altri Paesi europei, in particolare dall'Inghilterra e dalla Germania.
Dopo aver realizzato diversi strumenti che, seppur legati ancora all'estetica classica dei decenni precedenti, presentavano già diverse novità sia tecniche che foniche, è nel 1891 che -dopo aver ascoltato il nuovissimo organo elettrico realizzato da Trice per la Basilica dell'Immacolata di Genova- impone una svolta epocale alla sua attività, iniziando una produzione di strumenti che da una parte adottano tutte le novità tecniche riguardanti la trasmissione e la manticeria e dall'altra propongono timbriche e foniche di nuova generazione (ad esempio i Principali Diapason di origine britannica) che vanno ad integrare le tavolozze dei registri tipicamente italiane della tradizione classica. Anche la filosofia di progettazione si evolve verso strumenti che si adeguano e seguono (ed in alcuni casi anche precedono) l'estetica organistica europea, aprendo le frontiere dell'organo italiano al sinfonismo organistico francese ed alle nuove scuole postromantiche mitteleuropee. In sintesi: Carlo Vegezzi Bossi "rivoluziona" l'organo italiano e lo traghetta verso l'estetica europea del Primo Novecento ed in questo viene brillantemente coadiuvato da Marco Enrico Bossi, uno dei più grandi organisti e compositori di quell'epoca. Nonostante l'identità del cognome, i due Bossi non erano neppure lontanamente parenti ma da una parte Marco Enrico rimase subito affascinato dagli strumenti di Carlo e quest'ultimo riceveva dal concertista internazionale preziose informazioni e dettagli sui nuovi organi che in quel tempo venivano costruiti in Europa che gli servivano per rendere costantemente "moderni", sia tecnicamente che timbricamente, gli strumenti che uscivano dalla sua fabbrica.
Questa "collaborazione" tra i due grandi Bossi, con l'ausilio anche di alcuni organologi e studiosi molto conosciuti a quel tempo quali il Sizia, fece si che nel giro di pochi anni Carlo Vegezzi Bossi diventasse famosissimo non solo in Italia, ma anche in Europa e nell'America latina. Marco Enrico "pubblicizza" e propone gli strumenti di Carlo, Carlo li costruisce e Marco Enrico li inaugura. In questo modo troviamo strumenti realizzati da Carlo I Vegezzi Bossi in tutta Italia (sia nelle grandi città che nei piccoli centri), in Francia, in Svizzera, in Brasile, in Argentina, in Belgio (dove nel 1900 installò una nuovissima consolle con trasmissione pneumatica tubolare all'organo costruito dodici anni prima da Schyven nella Sala Filarmonica del Conservatorio) e, anche, in Terrasanta (Nazareth, Betlemme e Gerusalemme).
Ma torniamo quindi alle vicende della nostra saga organaria e riprendiamone le fila da suo padre Giacomo.

Giacomo rimane vedovo e cerca di ricomporre il suo nucleo famigliare; ci riesce, ormai cinquantenne, convolando a seconde nozze con... Annetta Vittino. Ecco che si concretizza il primo incrocio-collegamento della nostra storia organaria.

Le nozze con Annetta sanciscono con l'ufficialità una collaborazione artistica che già da tempo caratterizzava il lavoro delle due case organarie e da questo momento entrambe assumono caratteristiche del tutto speciali e procedono, per così dire, appaiate, tanto che all'Esposizione Generale di Torino del 1884 (ricordate la medaglia d'oro vinta dai Vittino?) propongono ognuna uno strumento, sistemati uno accanto all'altro. Inutile dire che la seconda medaglia d'oro (ex-aequo) la vince -indovinate un po'- l'organo presentato da Bossi. Tutto in famiglia, dunque.
Dal matrimonio, Giacomo ed Annetta -ormai ultracinquantenni entrambi- hanno un figlio, Francesco (nato nel 1870 e comunemente denominato genealogicamente Francesco I) che si rivela anch'egli (ma con cotante eredità genetiche non poteva essere altrimenti) uno splendido organaro che ben presto si affianca al fratello Carlo nella realizzazione dei migliori strumenti che uscivano in quegli anni dall'officina di Torino.
Ma ben presto le strade con il fratello si sarebbero divise. Nel 1905, infatti, Francesco I, essendosi esaurita l'attività dei Fratelli Vittino a Centallo, decide di assumerne la titolarità e fonda la ditta Vegezzi-Bossi di Centallo, dalla quale usciranno organi di grande prestigio e di ottima fattura. Le vicissitudini della vita faranno poi in modo che debba essere proprio questa ditta a riassumere i due rami della famiglia e che sia proprio questo ramo d'attività a continuare fino ai giorni nostri.
Giacomo Vegezzi-Bossi era morto nel 1883. Annetta proseguirà ancora per tre anni l'attività fino a che, nel 1886, seguirà il suo Giacomo nelle celesti cantorie. Rimangono a questo punto Carlo e Francesco che, come abbiamo detto, dopo aver lavorato insieme per un periodo di tempo, separano i loro destini organari, Carlo a Torino e Francesco a Centallo.
Carlo ha una figlia, Alessandra, che nel 1919 sposa Celestino Balbiani, terzo esponente di un'altra famosa dinastia di organari lombardi. Ecco il secondo intreccio della nostra saga.

Il primo rappresentante della famiglia organaria Balbiani lo troviamo tra Lecco e Milano nei primi decenni dell'Ottocento. Si tratta di Lorenzo, nato nel 1798. Iniziata da giovanissimo l'attività di ebanista, ben presto iniziò a dedicarsi a piccoli lavori di restauro di organi cominciando a costruire canne in legno, manticeria, somieri e ventilabri. Nel 1828 si trasferì da Lecco a Milano, dove ampliò l'attività dedicandosi anche alla costruzione di canne in metallo e poi, con l'aiuto del figlio Natale, dedicandosi alla costruzione di strumenti completi. I suoi organi, molto apprezzati alla sua epoca, si trovano soprattutto nella zona di Milano, Lecco e della Brianza.
Lorenzo Balbiani morì nel 1876, lasciando a succedergli il figlio Natale, nato nel 1836. Egli proseguì l'attività paterna e fu tra gli organari che maggiormente contribuirono al passaggio dall'organo italiano ottocentesco a quello "riformato". La sua particolare abilità come intonatore lo fece definire come uno dedi maestri dell'organaria italiana di quel periodo, apprezzato da tutti i più grandi musicisti che erano orgogliosi di inaugurare i suoi organi (tra di essi Petrali, Bassi, Fumagalli, Mattioli, Serafin, Giulietti e tanti altri). Costruttore di strumenti assai sofisticati ed all'avanguardia per le loro caratteristiche tecniche, Natale fu anche un restauratore di grande intelligenza. Fu infatti tra i primi organari che introdussero nell'arte del restauro le teorie "filologiche" della conservazione delle caratteristiche originali e del rispetto della tradizione classica italiana, aprendo a strada per una nuova era in questo delicato campo di attività.
Natale Balbiani fu un grande organaro, apprezzatissimo e molto ben considerato anche dagli altri organari italiani di quell'epoca. In occasione dell'inaugurazione di un suo nuovo strumento, nel 1860, conobbe Giacomo Vegezzi-Bossi e da quel momento iniziò con lui una stretta amicizia sia personale che professionale, che anche negli anni seguenti porterà le due case organarie ad una collaborazione che si concretizzerà ufficialmente quando suo figlio Celestino sposerà Alessandra, la figlia di Carlo Vegezzi-Bossi.

 Logo Balbiani Natale Balbiani muore a Milano il 22 Ottobre 1912, lasciando a succedergli i figli Luigi e Celestino. Essi rilevarono l'attività del padre ed approfondirono la collaborazione con Carlo Vegezzi-Bossi, a cui erano legati non solo dall'antica amicizia famigliare, ma anche da un rapporto commerciale ed operativo (Carlo vegezzi Bossi era anche, infatti, Direttore della sezione fonica della fabbrica Balbiani). Il matrimonio di Celestino con Alessandra, poi, sancì definitivamente questa collaborazione e da tale unione la fabbrica assunse il nome di Balbiani Vegezzi-Bossi, assumendo di fatto la continuazione ereditaria della linea dinastica di Carlo I Vegezzi Bossi (l'altra linea, quella di Francesco I, come abbiamo detto, si diramò nella continuità storica dei Vittino di Centallo).
I risultati di questa "fusione" (che peraltro già era in essere da molto tempo) furono che la ditta assunse un'importanza assoluta a livello mondiale.
Gli organi di Celestino e Luigi riempirono le chiese di tutto il Mondo ed erano considerati tra i migliori in assoluto per la qualità dei sistemi trasmissivi e per la raffinatezza delle foniche. Dai piccoli organi (famosissimi il modello "Balilla", con una tastiera e cinque registri ed il modello "Cecilia", con due tastiere e dieci registri, entrambi a trasmissione pneumatica, che ancora oggi -a decine- sono ancora presenti in moltissime chiese lombarde) fino ai colossali strumenti costruiti negli Stati Uniti (fantastico quello della chiesa di S.Vincenzo Ferreri di New York, realizzato nel 1926 con cinque tastiere, settanta registri e -primo strumento negli Stati Uniti- azionamento elettrico diretto delle combinazioni), tutti gli strumenti realizzati dai Balbiani Vegezzi-Bossi hanno portato la perfezione dell'organaria moderna italiana agli onori delle cronache musicali di tutto il Mondo, continuando così in modo egregio quello che Carlo Vegezzi-Bossi aveva iniziato mezzo secolo prima.
Celestino Balbiani fu anche un brillante studioso ed innovatore. Fu lui ad inventare il somiere a pistoni orizzontali mobili e fu sempre lui che ideò e realizzò in modo assolutamente innovativo l'organo "tipo", la base su cui innestare via via i vari elementi fonici per arrivare gradualmente agli strumenti più grandi. Luigi e Celestino Balbiani approfondirono e raffinarono anche le teorie filologiche per il restauro già enunciate e messe in pratica dal padre, teorie che Celestino Balbiani aveva condensato in una frase: "lasciare intatti gli organi antichi di vero interesse storico". Frase breve, chiara e concisa che racchiude in se (e soprattutto nell'aggettivo "vero") tutta la moderna filosofia del restauro e che dovrebbe ancora oggi essere letta -ed attuata- da tanti organari ed esperti.
Celestino Balbiani muore a Milano nel Giugno 1956, lasciando a succedergli, quali titolari dell'attività, i tre figli Natale, Cesare ed Alessandro.

Abbiamo visto come si è evoluto il ramo discendente da Carlo I Vegezzi-Bossi. Per concludere la nostra storia non ci rimane che andare a vedere come prosegue ancora oggi la discendenza di Francesco I.

Carlo I muore nel 1927, lasciando a succedergli, come abbiamo appena visto, la figlia Alessandra e la casa organaria Balbiani Vegezzi-Bossi.
 Franccesco I Vegezzi Bossi Francesco I, invece, prosegue l'attività di Centallo producendo una buona serie di importanti organi anche con la collaborazione del figlio, Carlo II, nato nel 1900, che fin da giovanissimo lo affianca nella conduzione dell'attività; nel periodo che va dagli Anni Venti dello scorso secolo fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la ditta si distingue per un'attività di alto livello, con la produzione di strumenti molto apprezzati e nella linea stilistica tramandata da Carlo I. La guerra, però, pone praticamente fine all'attività ed è proprio nel 1943 che Francesco I muore, lasciando a succedergli il figlio Carlo II il quale, nel frattempo, aveva avuto a sua volta un figlio, Francesco II.

Alla fine del conflitto la ripresa dell'attività, in un Paese ridotto in macerie ed alla fame, è triste e difficile ma Carlo II Vegezzi Bossi riprende presto in mano la situazione e, pur in un ambito assai ristretto, riesce a riportare la ditta a livelli di produzione assai soddisfacenti. Certo, non si tratta dell'attività frenetica ed altamente innovativa del passato, ma l'abilità e la perizia di Carlo riescono a riportare lo storico marchio a livelli di assoluta eccellenza. L'attività si dipana a questo punto in due rami: la costruzione di organi nuovi, peraltro assai ridotta, ed il restauro e/o ricostruzione degli strumenti realizzati nel passato e danneggiati dalla guerra. In quest'ambito, chi scrive ha avuto il piacere e l'onore di conoscere personalmente Carlo II nell'anno 1970 in occasione di una sua visita presso l'organo, costruito da Carlo I nel 1897, nella chiesa Parrocchiale di Ovada in previsione di un restauro (peraltro mai effettuato). Ancora oggi ricordiamo di Carlo II l'amabilità, la disponibilità, la modestia della persona e la passione, l'altissima esperienza e la grandissima abilità dell'organaro.
Pochi anni dopo quella visita, nel 1977, Carlo II muore, lasciando a succedergli il figlio Francesco II. Egli già in gioventù si era dedicato in particolar modo allo studio di nuovi metodi di trasmissione e, soprattutto dall'inizio degli Anni Settanta del secolo scorso, aveva intrapreso un corposo approfondimento sulle possibilità di utilizzo nell'arte organaria delle allora nuovissime e rivoluzionarie tecnologie informatiche. Questo lavoro di studio (che peraltro interessava anche il campo del recupero e modernizzazione degli antichi sistemi trasmissivi meccanici) non potè essere terminato, poichè Francesco II muore improvvisamente nel 1984.
Il figlio Enrico ha allora appena vent'anni. Pur essendo già ben introdotto nell'arte organaria, per continuare degnamente la tradizione famigliare si avvale della collaborazione di Bartolomeo Brondino, ottimo intonatore ed accordatore che era "entrato a bottega" quattro anni prima. I due giovani organari danno così origine alla casa organaria "Brondino Vegezzi-Bossi" che se in un primo tempo si dedica precipuamente al restauro, successivamente riprende anche l'attività di costruzione di nuovi strumenti, alcuni dei quali di impostazione stilistica neoclassica mentre altri riprendono alcune delle caratteristiche fonico-timbriche proprie della tradizione famigliare.
Ad oggi la ditta, che è in piena attività, può contare al suo attivo la costruzione di alcune decine di strumenti nuovi, tutti di ottima fattura ed assai apprezzati sia dagli organisti che dalla critica specializzata, ed un'attività di restauro filologico che spazia dagli strumenti classici antichi fino agli organi realizzati nel primo Novecento.

Siamo così arrivati alla fine della nostra storia. Abbiamo esplorato circa duecento anni di organo europeo e mondiale attraverso la vita, le vicende e le peripezie di tre delle più grandi ed importanti famiglie organarie italiane. In questo periodo le vicende storiche hanno visto cambiare radicalmente e frequentemente la storia del nostro Paese, dell'Europa e del Mondo. Oggi viviamo in un Mondo che, se comparato a quello in cui abbiamo iniziato il nostro racconto, appare distante anni-luce. Ma quello che è rimasto fermo, in questa saga organaria, è l'organo italiano, quell'organo che -proprio grazie a questi protagonisti- nonostante si sia evoluto, abbia cambiato le sue caratteristiche e si sia motorizzato, modernizzato, elettrificato, informatizzato e rigenerato più e più volte, non ha mai perso di vista la sua fisionomia, le sue origini, le sue caratteristiche fondamentali. Di questo dobbiamo essere tutti grati e riconoscenti ai Bossi, ai Vittino ed ai Balbiani: una saga organaria italiana.