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Passato, presente e futuro - Terza parte

Ed eccoci finalmente arrivati all' Italia. Come per le altre scuole organarie già trattate, salteremo la fase delle origini dell'organo, che è comune per tutti fino agli albori del Rinascimento. L'unico accenno che dobbiamo fare circa la penisola italica riguarda il periodo dell'Impero Romano durante il quale l'organo (idraulico) era diffusissimo e veniva utilizzato in due "modelli", uno di grandi dimensioni e con canne di registro ad ancia che veniva utilizzato nei circhi e negli anfiteatri durante gli spettacoli, ed un'altro più piccolo con canne di flauto, che veniva utilizzato nelle case e nelle dimore private. In questo periodo la penisola italica (ma anche tutti i territori compresi nell'Impero) era ricchissima di organi e si può dire che, fatte le debite proporzioni tra popolazione e numero di strumenti, forse questo è stato il periodo di maggior diffusione dell'organo in tutta la sua storia.

La nascita dell'organo italiano, così come la definizione delle caratteristiche di base di tutte le altre scuole organarie europee, avviene nel Rinascimento, quando grazie all'evoluzione tecnica dei somieri si riescono a far suonare le varie file di canne indipendentemente una dall'altra. Si passa quindi da quello che viene comunemente definito il "blockwerk" medievale a quello che si può definire il vero e proprio organo come lo conosciamo noi oggi.
Le sonorità dell'organo italiano si sviluppano da questo momento in poi sulla cosidetta "piramide del Ripieno", che vede la costruzione dei singoli registri sulla progressione armonica dei suoni. E' in questa fase che l'organo italiano si caratterizza per la presenza delle file di Ripieno trattate ognuna come registro proprio, con una sorprendente capacità di poterle utilizzare ognuna in modo autonomo e con innumerevoli possibilità di combinazione e di amalgama. Questa è la caratteristica principale dell'organo italiano, che non si riscontra in nessun'altra scuola organaria europea se non, in modo diverso e parziale, in quella iberica.
Nei secoli successivi l'organo italiano si arricchisce di qualche registro di carattere più solistico (Flauti in diverse tessiture, Cornetto e la cosidetta "Voce Umana", detta anche "Fiffaro"). La tastiera era unica, non vi erano registri ad ancia, così come non esistevano registri propri per le pedaliere, che consistevano in un ridotto numero di pedali collegati meccanicamente in modo da azionare le prime note della tastiera. Gli Antegnati sono i più famosi rappresentanti dell'arte organaria di questo periodo.
E' curioso notare, a questo punto, come tutte le innovazioni tecnico-timbrico-foniche dell'organo italiano che avverranno nei secoli seguenti abbiano avuto origine da organari stranieri che portarono in Italia il loro bagaglio culturale e da organari italiani che si erano recati all'estero per lavoro. E' il caso del "Positivo Tergale" e dei primi registri ad ancia, derivanti entrambi dall'organaria fiamminga. Allo stesso modo fu il fiammingo Hermans che nella seconda metà del Seicento impresse una decisa svolta all'organo italiano introducendo le mutazioni dell'armonico in terza, in precedenza sconosciute in Italia, e nuove sonorità di registri ad ancia, così come rinnovò la concezione dei corpi d'organo separati. La sua attività fu così importante che non stupisce affatto che Hermans sia considerato da molti organologi come uno dei padri dell'organo italiano.
Questa curiosa tradizione di evolvere l'organo italiano grazie ad esperienze organarie estere ha poi prodotto quelle che sono state due epoche fondamentali per la nascita dell'organo italiano moderno: i Serassi e Carlo Vegezzi Bossi. I primi, che impressero all'organo italiano una svolta epocale per quanto riguarda i registri ad ancia di concezione moderna (grazie anche a diversi organari francesi fuggiti dalla Francia dopo la Rivoluzione e presi a bottega da Serassi) e l'evoluzione del Ripieno, ottenuta grazie ad uno studio approfondito e continuativo dei rapporti armonici tra le varie file che ha portato i Ripieni dei loro strumenti ad un grado di perfezione quasi assoluta.

L'opera di Carlo Vegezzi Bossi, invece, trae origine dagli organi costruiti in Italia dal britannico Trice e, in seguito, dall'adozione di moltissime novità tecniche e foniche elaborate in Germania e Francia a cavallo tra l'Ottocento ed il Novecento. Considerato come il propugnatore della cosidetta "Riforma Organaria Italiana" e poi, a causa dei discreti disastri da essa causati, a lungo considerato come un "cattivo maestro" dell'organaria italiana, Bossi fu in effetti (e ciò lo si vede chiaramente dai primi organi realizzati) un organaro molto attento alla tradizione italiana e, comunque, non meno attento ai progressi europei dell'organo rispetto ai Serassi. Ciò non toglie che questi ultimi siano considerati (a ragione) tra i maggiori fautori dell'organo "italiano" e Bossi (a torto) tra i maggiori demolitori.

Dopo la Riforma, la Controriforma, con l'avvento del cosidetto "organo eclettico", che vede i suoi migliori campioni realizzati tra gli Anni Trenta e gli Anni sessanta del secolo scorso ed in cui i nomi di Mascioni e Tamburini sono i più celebrati e rinomati. Gli strumenti di questo periodo sono caratterizzati da una specie di "standardizzazione" delle caratteristiche sia tecniche che foniche, che solitamente non presentano più le file di Ripieno singole, ma riunite, preferibilmente alla moda francese della Fourniture (Ripieno Grave) e del Cymbale (Ripieno Acuto), così come le tavolozze timbriche sono ricche di registri di assolo, coloristici e d'effetto. A parte quelche raro eccesso, questi strumenti sono sempre saldamente fondati sulle sonorità tipicamente italiane e la loro base rimangono i registri di Principale. Questi organi sono particolarmente apprezzati per via della loro capacità di adattarsi all'esecuzione di diversi repertori organistici, presentando caratteristiche filologiche "neutre" e di basso profilo. Questa prerogativa, che rappresentava la forza di questi strumenti quando furono realizzati, con l'avvento della filologia organaria ed organistica "a tutti i costi" è diventata il loro punto debole, che ne ha fatto il bersaglio preferito dei "puristi" dell'organo antico, oggi tanto di moda.

Il resto è storia recente, e di questa possiamo argomentare tenendo presente un fattore fondamentale: l'organo italiano non ha patito gli effetti di rivoluzioni furiosamente iconoclaste (la Rivoluzione Francese, ad esempio), così come non ha subito le distruzioni pressochè totali delle sue città (e, di conseguenza delle sue chiese e dei suoi organi) durante la seconda Guerra Mondiale, come invece è avvenuto in Germania. Questa casuale salvaguardia, dovuta a diverse fortunate contingenze della storia sociopolitica del nostro Paese, ha fatto si che nella nostra penisola si trovino ancora oggi, più o meno conservati e funzionanti, un rilevante numero di strumenti che rappresentano molto bene ed in modo anche assai abbondante, tutte le epoche storiche della nostra arte organaria e delle sue varie scuole territoriali. Sotto questo punto di vista possiamo dire che l'Italia (insieme alla Spagna) è il paese europeo in cui più viva si può ritrovare la storia dell'organo, e questo è un bene sotto un punto di vista storico, mentre crea diversi problemi se affrontiamo il problema sotto un'altra ottica, quella dell'organo italiano "contemporaneo", cioè quello che esce oggi dai laboratori dei nostri valenti organari.

Ovviamente tutto prende origine dall'avvento della filologia organistica, cioè dal principio, per la verità sacrosanto, secondo cui per poter riprodurre la musica del passato il più aderentemente possibile a come veniva eseguita allora occorrono strumenti di quell'epoca o, in mancanza, strumenti costruiti secondo le regole e le caratteristiche dell'organaria antica. Questo principio, comune a tutti i Paesi europei continentali e derivante dalla "Orgelbewegung" germanica di cui abbiamo già parlato, ha da una parte fornito ottime prospettive di studio ed approfondimento dei vari argomenti organari ed organistici ma, al contempo, molti problemi.
Bisogna a questo punto ritornare ad una considerazione che spesso si dimentica quando si parla di organo, cioè quella che esso è uno strumento "liturgico" e lo si trova nelle chiese, mentre gli organi nei teatri e negli auditoriums (stiamo parlando dell'Italia, ovviamente) sono pressochè totalmente assenti. L'organo nasce quindi (soprattutto dopo le riforme adottate dal Concilio vaticano II) quasi esclusivamente come strumento musicale per l'accompagnamento dei canti liturgici, e come tale è strettamente considerato dai "padroni" degli organi, cioè i sacerdoti ed i parroci, che lo vedono solo in seconda battuta (e spesso non lo vedono neppure) come strumento da concerto, ed anche qui con tutte le dovute limitazioni e restrizioni.
Un secondo fattore da tenere ben presente, ed anche esso causato dal Concilio Vaticano Secondo, è la progressiva scomparsa della figura dell'organista liturgico, spesso e volentieri sostituito da chitarristi improvvisati o da gruppi musicali di spiccata ispirazione pop-rock. Di contro, gli organisti che escono dai nostri Conservatori, per ovvie motivazioni e con poche eccezioni, considerano l'organo essenzialmente uno strumento da concerto su cui proporre i capolavori della musica organistica del passato e del presente.
Ed è proprio in seguito alla concomitanza ed alla contemporanea dicotomia di questi due fattori che l'organo italiano da qualche decennio ristagna in una situazione ambigua e per certi versi indecifrabile, le cui conseguenze sono la costruzione di strumenti-copia di organi francesi e germanici barocchi che nessun collegamento hanno con la nostra tradizione organaria, oppure la realizzazione di organi che ricalcano le filosofie costruttive dell'organaria italiana classica essenziale, cassando aprioristicamente gli ultimi duecento anni di storia dell'organo italiano per quei motivi di "damnatio memoriae" a cui abbiamo più sopra accennato. Il tutto a seconda degli orientamenti musicali e stilistici dei singoli organisti o di prelati e sacerdoti che, venuta meno la solida scuola musicale liturgica del passato, si lasciano tentare dalle sirene di un'organologia quanto mai variegata e discontinua.

Siamo, insomma, al punto che l'organologia italiana di oggi procede in ordine abbastanza sparso, senza un preciso indirizzo comune di attuazione e di prospettiva, ondeggiando tra diversi orientamenti più o meno esterofili o di tipo radicale ed esclusivo.
A tutto questo si aggiunge poi il problema dei restauri degli organi antichi, che è anch'esso di dolorosa attualità, poichè risente delle medesime problematiche, aggravate, se possibile, anche dalle diverse (e talora contrastanti) metodologie di approccio con cui le varie Sovrintendenze regionali affrontano i vari casi.
In questa condizione di incertezza è comprensibilmente ed oggettivamente difficile trarre delle conclusioni e formulare delle prospettive per l'organo italiano. Noi ci proveremo, comunque, nella prossima trattazione.